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27 gennaio Giorno internazionale della Memoria

27 gennaio Giorno internazionale della Memoria

Utente TOIC81800L-aut

da Toic81800l-aut

Dirigente Scolastico

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Pero esa es otra historia y debe ser contada en otra ocasión: Química ...

 

Il 27 gennaio ricorre l’anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa. Dal 2000 in questa data si celebra internazionalmente il Giorno della Memoria, per “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati” (Art. 1 della Legge 211/2000).

 

Potremmo oggi interrogarci, e con qualche ragione: qual è il senso della memoria? A che cosa serve ricordare? Com’è possibile ricordare qualcosa che è accaduto, certamente, ma a qualcun altro?

 

Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis, secondo Cicerone[1], ovvero “La storia è davvero testimone dei tempi, luce di verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità”. La storia insegna, o insegnerebbe: siamo noi che non impariamo?

 

Primo Levi è ancora più perentorio: “Meditate che questo è stato”[2], ordina, e ci ingiunge di scolpire nel nostro cuore le sue parole e di ripeterle alle generazioni successive. Parla proprio a noi, che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, dove troviamo cibo caldo e visi amici. A noi che non abbiamo conosciuto gli orrori della guerra e della persecuzione.

 

Perché? Perché questa condanna a ricordare?

 

Perché non avvenga mai più. Levi lo spiega molto chiaramente: L’esperienza di cui siamo portatori noi superstiti dei Lager nazisti è estranea alle nuove generazioni dell’Occidente, e sempre più’ estranea si va facendo a mano a mano che passano gli anni (…). Per noi, parlare con i giovani è sempre più difficile. Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al di sopra delle nostre esperienze individuali, siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, fondamentale appunto perché inaspettato, non previsto da nessuno. È avvenuto contro ogni previsione; è avvenuto in Europa; incredibilmente, è avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler è stato obbedito ed osannato fino alla catastrofe. È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire[3].

 

Ricordare, tuttavia, non basta. Al ricordo deve seguire l’azione, e deve essere un’azione di profonda riflessione e di autentica pace. Più terribile ancora che non avere memoria degli eventi del passato, è infatti sapere, vedere, voltarsi dall’altra parte e rimanere inerti, indifferenti, in silenzio.

[1] Cicerone, De Oratore, II, 9, 36

[2]  Primo Levi, Ad ora incerta (ma e’ anche l’epigrafe che apre Se questo è un uomo), ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 525

[3] Primo Levi, I sommersi e i salvati, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, pp. 1149-1150

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